ALCUNE CONSIDERAZIONI DI MERCATO

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE RIPERCUSSIONI DEL DECRETO ANTI-CRISI

Svolgo da oltre 35 anni un’attività che mi ha visto sempre all’interno del sistema finanziario in tutte le possibili situazioni ed in tutte le dimensioni aziendali da consulente e da dipendente, da responsabile e poi direttore, da analista di sistemi di tesoreria ad utilizzatore degli stessi ed ho oltre trent’anni di piani finanziari alle spalle. Inoltre ci sono parecchi anni, quelli della libera professione, spesi nel cercare di insegnare alle aziende di tenere sotto controllo quella brutta bestia che è la finanza aziendale.

L’avvento del decreto anticrisi ha rilanciato in me un grosso entusiasmo, quelli praticamente dei tempi eroici passati. Vedere finalmente affermato per legge quello che ho sempre sostenuto: QUALUNQUE AZIENDA (O QUASI) DEVE REDIGERE CON CONTINUITA’ UN PIANO FINANZIARIO DI 6, MEGLIO 12 MESI, PER EVITARE DI TROVARSI IMPROVVISAMENTE IN CRISI FINANZIARIA.

Sono passati alcuni mesi ma tutto è ancora fermo: le aziende non si adeguano, le banche attendono, le società di certificazione sono sul chi va là: tutti attendono che “scoppi la bomba”. Molti stanno attendendo i famosi indici di alert che il consiglio dei commercialisti porterà a conoscenza a novembre, ma basta ragionare un attimo che siamo in presenza di vedere una montagna che partorirà un topolino, ma non per insipienza, ma per l’impossibilità del compito affidato.

Quando poi leggo i contributi nei vari blog quotidiani dedicati mi sembra veramente di sognare. Vedo dottissime discettazioni sulla figura del revisore e delle sue responsabilità, sull’OCRI, su cosa sarà delle procedure concorsuali, dei piani di risanamento, etc., come se tutto il cuore della riforma, nella pratica, che è quella che credo interessi ai più, girasse lì intorno.

DIAMO QUALCHE NUMERO!

Sarà che sono ex direttore finanziario, CFO come si ama dire oggi, ma resto quello che sono, cioè ingegnere, certo masterato come gestionale, ma per me i numeri, come nella finanza, sono tutto ed osservo questo:

-         In italia ci sono 4.719.000 imprese (dati Istat) con meno di 10 dipendenti ed altre 191.000 con massimo 49;

-         Di queste 4.719.000 circa 750.000 sono le srl, di cui circa la metà tra produttive, costruzione e commerciali (Istat)

-         Si calcola che le aziende che rientrano nei parametri 4-4-20 siano circa 90.000 (Estrazione Leanus)

-         In italia ci sono circa 120.000 commercialisti e oltre 240.000 avvocati (dati emanati dai rispettivi ordini professionali);

-         L’anno scorso ci sono stati circa 12.000 fallimenti, di cui circa 9.000 di srl e 1.500 procedure non fallimentari e 60.000 liquidazioni volontarie (dati Cerved).

Quindi quello che risulta è :

-         Un numero spropositato di aziende, ma potremmo limitarci alle 750.000 srl, devono per legge e quindi hanno bisogno (secondo me il 90% non lo fa) di fare piani finanziari (e procedure di alert basati su analisi per indici, ma secondo me qui ci saranno un sacco di problemi)

-         Di queste 90.000 avranno bisogno di un revisore (commercialista)

-         Un numero imprecisato, ma certamente piccolo, sarà “ricoverato” all’OCRI (che ha tutti gli elementi per essere non un ospedale ma una casa di riposo)

-         Un numero piccolissimo di aziende, speriamo, ma comunque la volontà del legislatore è in questi termini, arriverà purtroppo alla liquidazione o al fallimento.

E CHIARO DOVE E’ IL BUSINESS?

Ricordo che le banche sono pronte a richiedere la prova della presenza dell’organizzazione e procedure di gestione finanziaria come requisito necessario per procedere con l’affidamento e le grandi società di certificazione sono pronte ad emanare percorsi per la certificazione delle procedure di gestione finanziaria, alleandosi con le banche affinchè ciò diventi un “must”.

MA QUALE E’ IL PROBLEMA?

Semplice: fare un piano finanziario affidabile è attività facente parte di un ruolo ben preciso, che è quello di direttore/responsabile finanziario: quanti commercialisti, avvocati, (dimenticavo i circa 25.000 consulenti del lavoro che si propongono sempre per fare qualsiasi lavoro), hanno mai fatto, e soprattutto seguito nel tempo, un cash flow previsionale? Ricordo che il cash flow previsionale non è un business plan, che si fa una tantum, o si rivede annualmente, ma occorre rivederlo mensile, o al peggio trimestralmente:

Nel conto metto anche le software house che stanno cercando di lanciare strumenti più o meno affidabili: il cash flow non è uno strumento standard, ma va personalizzato in ogni impresa perché deve adattarsi alle originalità di quella impresa: occorrono persone con background finanziario per fare questa attività e nelle software house non ci sono.

Ho l’impressione che l’impasse nel quale siamo dipenda dal fatto che molti vedano il business ma di questi quasi tutti abbiano timore di non essere all’altezza, senza dimenticare quelli che poi dovessero fare il revisore.

C’è un solo modo per uscire: una collaborazione tra professionisti, cercando di portare valore alle imprese creando team di lavoro, l’ideale è consulente, commercialista, avvocato.

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