Dove porre i controlli sull'andamento aziendale?

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE CONSEGUENZE OPERATIVE DEL DECRETO ANTI-CRISI

(1^ PARTE):

 DOVE PORRE I CONTROLLI SULL’ ANDAMENTO AZIENDALE?


 

Per chi come me già 30 anni fa si è trovato di fronte al primo cash flow previsionale per la propria azienda ed ha fatto analisi di bilancio per la valutazione di affidabilità dei clienti queste nuove norme mi fanno esclamare una sola parola: FINALMENTE!

Finalmente, meglio tardi che mai, si riconosce che le imprese, anche quelle più piccole devono imparare a gestirsi secondo il ciclo:

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Non è pensabile che anche le piccole imprese non adottino modelli di gestione di questo genere.

Eppure tante volte nella mia attività di consulente mi sono sforzato di dimostrare alle imprese che queste pratiche sono cosa buona e giusta e soprattutto necessarie. Soprattutto importante è far capire quali sono le conseguenze di determinate scelte strategiche a livello economico e finanziario.

Adesso che finalmente sembrerebbe che le imprese in forma non più volontaria ma su prescrizione di un provvedimento legislativo debbano aderire a queste prassi ci si imbatte nelle inevitabili difficoltà per tradurre la volontà del legislatore in fatti concreti, specialmente laddove lo stesso legislatore a volte non risulti così chiaro e quindi vada interpretato.

Le varie interpretazioni hanno fatto nascere tra gli addetti ai lavori un dibattito molto interessante e stimolante intorno al nuovo decreto anticrisi riguardo l’attivazione dei sistemi e procedure atti a determinare preventivamente possibili situazioni di difficoltà, come prescritto dal provvedimento legislativo e sul ruolo e responsabilità dei diversi attori previsti.

I principali riferimenti del legislatore all’interno del decreto anti-crisi si possono esprimere in tre punti principali:

ART. 2: «definizione di crisi»: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate;

ART.13: Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi.

ART.14: Gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi.

ART.375: All’articolo 2086 del codice civile, dopo il primo comma è aggiunto il seguente: «L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

In attesa che il CNDCEDC fornisca il sistema (si prevede imperniato su un set di indicatori) in grado di identificare lo stato di crisi aziendale, ci sono tutta una serie di problematiche che gli addetti i lavori stanno cercando di approfondire prima che la riforma abbia piena attuazione.

Uno dei punti cardine è il seguente:

DOVE PORRE IL LIVELLO DI ALERT DEL SISTEMA DI SEGNALAZIONE?

La volontà del legislatore è quella di attivare prassi per anticipare il più possibile l’intercettazione dei segnali di crisi per favorire quindi un intervento del top management il più tempestivo possibile. La motivazione di ciò oltre che logica sta nel fatto che nella legislazione precedente, molto concentrata sul dissesto “acclarato”, si osservava che, quando un’azienda accedeva alla richiesta di procedure concorsuali, essa si trovava normalmente già in una situazione molto difficile, quasi estrema: ciò spesso era determinato dalla tendenza dell’imprenditore di tenere il più possibile coperta la conoscenza della crisi, in altri casi si trattava addirittura di una situazione di non conoscenza di questo stato. Quindi si veniva a determinare una percezione negativa esterna aldilà della situazione reale cosicchè anche le aziende con qualche probabilità di essere salvate finivano di fatto per soccombere: ciò poteva derivare a volte anche da atteggiamenti di stakeholders interni ed esterni indisponibili a qualsiasi sforzo per cercare di aiutare l’impresa a salvarsi.

Si può affermare con fondatezza che quanto più anticipata è la capacità di cogliere la manifestazione (solo interna? O anche esterna?) della probabilità (quale è la soglia? E si riesce a determinarla con criteri oggettivi?) di dissesto tanto è più facile correggere la rotta dell’impresa prima che sia troppo tardi.

Proviamo a fare un parallelismo con il corpo umano.

Un uomo muore di infarto (EVENTO). Si vanno a cercare le cause e si vede che c’è stata un’otturazione di un’importante vaso sanguigno (CAUSA SCATENANTE). Tale situazione è derivata dall’esistenza di un alto valore di grassi nel sangue (PATOLOGIA). Tutto ciò deriva dalla dieta scorretta che l’uomo adottava abitualmente (COMPORTAMENTO SBAGLIATO).

Se si voleva evitare l’evento nefasto si sarebbe potuto intervenire in diversi momenti ed a diversi livelli di invasività durante la vita dell’uomo: il modo più efficace, almeno fino ad un certo momento, risiedeva nel convincerlo ad adottare un diverso stile di vita convincendolo ad esempio a cambiare la sua dieta. In questo modo, senza adottare pratiche “pesanti”, si sarebbe potuto evitare la fine infausta.

Ma quali erano i modi ed i tempi per accorgersi della situazione? Si può pensare a due modalità diverse:

a)     Effettuazione di analisi ed esami con misurazioni di grandezze chimico-fisiche raffrontate con valori corrispondenti ad una “situazione normale”

b)     Verifica dello stile di vita della persona rilevando ad esempio il grado di stress, il tipo di dieta, l’esercizio fisico effettuato quotidianamente etc.

Due momenti diversi, due metodi diversi, due invasività diverse.

Il problema diventa quindi:

A CHE LIVELLO IN UNA SCALA DI LIVELLO DI ATTIVITA’ CHE VA DALLA STRATEGIA ALL’OPERATIVITA’ DEVE ESSERE POSTO IL SISTEMA DI VALUTAZIONE DELL’ANDAMENTO AZIENDALE?

In allegato sono riportati degli esempi di cause di dissesto aziendale: come si vede la causa scatenante (quella cioè che mette in moto meccanismi e procedure che comportano il fallimento dell’impresa) è sempre la stessa: la mancanza di liquidità aziendale che si esplica in uno o più delle azioni riportate.

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Nella pratica quotidiana, quando si cerca di analizzare le vere cause del fallimento di un’impresa, si è portati ad individuare le cause nelle strategie sbagliate dell’impresa. Osservando il diagramma sopra riportato, di fatto si finisce nella parte superiore.

Se vogliamo interpretare una situazione di dissesto tramite sistemi che elaborano l’analisi per indici aziendali ci si accorge che essi non vanno oltre il terzo gradino partendo dal basso, già il quarto non può essere preso in modo assoluto ma va confrontato e con dati di settore o comunque con dati di mercato.

Esistono invece tecniche diverse come la ”Balanced Scorecard” che cercano di dare una rappresentazione veloce e sintetica della situazione aziendale partendo da dati anche e non solo quantitativi: in questo modo l’effetto è una risalita  lungo il diagramma  per individuare motivazioni strategiche che stanno alla base dei problemi sorti.

In attesa dell’arrivo del sistema di analisi proveniente dal CNDCEC, si è aperta una discussione tra opinionisti divisi da un approccio che preveda il posizionarsi dell’analista più o meno in alto nel diagramma mostrato.

Esistono in letteratura diversi approcci pratici; dovendone scegliere uno, per taluni il metodo più efficace è l’ analisi per indici, per altri è la Balanced Scorecard..

Altri punti importanti che emergono dalla discussione sono:

a)     Chi è in grado di fare queste analisi?

b)     Quanto viene a costare all’impresa la gestione secondo quanto prescritto dal decreto?

c)       Le imprese (PMI) sono in grado di reggere tali costi?

Come già detto, mettendosi nelle posizioni più a valle nel diagramma si vede che risulta difficoltoso risalire alle vere cause che hanno determinato la crisi dell’impresa, in quanto, bene o male, tutto alla fine converge verso una crisi di liquidità.

Risalendo lungo il diagramma si vedono invece situazioni aziendali diverse con problemi diversi che derivano da strategie diverse e man mano che si sale cresce, per essere in grado di interpretare la situazione, la necessità di specializzazione funzionale per l’analista che deve condurre l’indagine: si può dire quindi che più si va a monte del diagramma e più occorrono competenze specialistiche e di alto livello.

Ad esempio: chi può condurre un’analisi critica della completezza del portafoglio prodotti di un’impresa? Certamente un consulente di marketing con competenze specifiche nel settore di riferimento.

Chi può condurre un’analisi che possa giudicare l’ottimizzazione logistica di una sistema produttivo, dando così una misura dell’efficienza raggiunta? Qui occorre un consulente di produzione con conoscenze importanti di logistica produttiva.

Posizionandoci nei pressi delle posizioni di base del diagramma, l’analisi per indici, meglio se collegata ad un rendiconto finanziario di tipo indiretto, può essere indicata come la tipica fonte interpretativa dell’andamento dell’impresa in conseguenza di scelte strategiche fatte a monte. Essa sarà certamente in grado di focalizzare quali sono i punti di difficoltà indotti da strategie aziendali non corrette, ma normalmente riesce soltanto a restringere le diverse ipotesi sulle cause scatenanti, non avendo gli elementi per scegliere con sicurezza una rispetto ad un’altra. Si lavora sui sintomi espressi dall’impresa, ma le cause possono essere di difficile ed univoca individuazione. Quindi con questa sola analisi sarà molto difficile indicare con sicurezza la “madre” di tutte le strategie errate.

Ad esempio partendo da una situazione di carenza di liquidità, si può scoprire che ciò è accompagnato ad un aumento vistoso dei crediti: quali le cause? Una risposta può essere una cattiva ges tione del recupero dei crediti, oppure una politica di aumento delle dilazioni di pagamento cresciute esageratamente nei periodi più recenti, oppure da problemi di qualità della produzione aziendale che possono determinare contestazioni da parte del cliente e quindi ritardi o mancati pagamenti oppure ancora da dissesti generalizzati nel settore che hanno messo in crisi uno o più clienti importanti. Ecco quindi che le azioni da porre in atto possono riguardare funzioni diverse, può essere l’amministrazione, piuttosto che il commerciale o il produttivo o il finanziario: occorre quindi un supplemento di indagine, più in dettaglio, per poter rispondere alla domanda.

Come già detto esiste un altro tipo di analisi che si muove al contrario sui livelli più in alto nel diagramma: si tratta della Balanced Scorecard di Kaplan che certamente dà risposte che aiutano nel risalire lungo la colonna verso la risoluzione dell’enigma.  

C’è però un problema piuttosto pratico: mentre per l’analisi per indici è sufficiente (parola comunque da prendere con le molle) la presenza del bilancio, naturalmente completato da altre informazioni “a margine”, per la Balanced Scorecard si rendono necessari altri dati ed altre analisi che non solo possono non appartenere alla contabilità ma addirittura possono non essere di tipo monetario e che bisognano di sistemi di rilevazione che si aggiungono ai sistemi contabili

Se ad esempio vogliamo misurare la strategia commerciale attraverso la misura del grado di soddisfazione del cliente occorre avere un sistema di rilevazione dati di soddisfazione del cliente che alimenti un data base dei reclami, un sistema di valutazione dell’importanza del singolo reclamo, o comunque qualcuno che valuti attraverso un voto. A valle di ciò occorre identificare un algoritmo che determini un indice che fornisca una valutazione, magari confrontabile con l’esterno tramite un benchmark. Alla fine tale indice fornirà una valutazione “oggettiva” della politica commerciale e sarà in grado tramite valutazioni sulla tendenza e sulla distanza o raggiungimento di determinate soglie di indicare una situazione di eventuale pericolo per la continuità dell’impresa. Quindi se sta calando in modo importante il fatturato e l’indice di soddisfazione dei clienti l’azienda dovrà intervenire al più presto.

Questo semplice esempio pone nuove argomentazioni:

SONO DISPONIBILI IN AZIENDA I DATI NECESSARI PER CONDURRE LE ANALISI?

Se per l’analisi per indici si ha come riferimento il bilancio, e quindi possiamo dire che almeno una volta all’anno i dati sono certamente disponibili (anche se troppo spesso non proprio tempestivamente), la domanda è se possiamo dire lo stesso per altri tipi di analisi che si basano anche su dati non di bilancio.

Ecco quindi entrare in gioco la variabile costo dell’informazione che sarà funzione di due componenti:

1)     Il costo per avere a disposizione le informazioni necessarie

2)     Il costo dell’elaborazione ed interpretazione dei dati

Entrambi i costi vanno aumentando mano a mano che si sale lungo i “piani” del diagramma.

Nasce spontanea una domanda:

POSSONO LE IMPRESE, SOPRATTUTTO LE Più PICCOLE, SOSTENERE QUESTE SPESE?

La risposta immediata è, e non ci saremmo aspettati niente di diverso, tipicamente: NO!

Però ci si trova nel tipico dilemma di quando si acquisisce un servizio: siamo di fronte ad un costo o ad un investimento? In altre parole: il costo incrementale che l’azienda sostiene viene recuperato nel tempo?

La valutazione di questi aspetti deve condurre la decisione.


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